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Racconti e ricordi di servizi

Nuova rubrica di racconti, curata da: Paolo Diani

Al fuoco

Marzo 1932
 

Una volta, allo scoppiare d’un incendio, si dava l’allarme suonando le campane a distesa e s’alzava alto il richiamo:”Al fuoco al fuoco! …”  A tanto strepitio la gente correva all’impazzata verso il riverbero sanguigno delle fiamme, e poiché tutti volevano vedere e fare, succedeva sempre una baraonda e una confusione da fine del mondo.

Oggi, in presenza d’un incendio, non si grida più “al fuoco”, né si scomodano i sacri bronzi; si va al telefono più vicino e si chiama la squadra dei militi, che poco dopo giungono sul luogo con tutti gli attrezzi necessari.

Un progresso dunque è stato fatto: non s’allarma più inutilmente la popolazione, e chi oggi si mettesse a gridare e a suonare le campane passerebbe poco meno che per un sedizioso.

Ma il progresso è tutto lì: per il rimanente non s’è fatto un passo avanti. Si continua a far confusione, a impancarsi, a dar ordini e contrordini, a intralciare l’opera dei pompieri. Ognuno, che si trovi presente ad un incendio, sente messa a prova tutta la sua capacità, tutto il suo genio, immagina che tutti gli tengano gli occhi a dosso e lo stiano a giudicare, gli dispiacerebbe di lasciarsi sfuggire l’occasione presentatagli di guadagnare almeno una ricompensa al valor civile.

Pochissimi sono coloro, che intuiscono essere l’opera del pompiere essenzialmente tecnica, e che perciò non è possibile improvvisarsi pompieri. Per i più la bravura del pompiere sta nel far presto a buttar l’acqua sul fuoco, e la gravità dell’incendio è data dall’altezza e dall’estensione delle fiamme. Molto spesso, invece, l’opera del pompiere e la gravità dell’incendio sono il rovescio di quel che si pensano.

Giunta sul luogo dell’incendio la squadra dei pompieri, prima ancora di mettere in azione i mezzi di spegnimento, ha da rendersi conto di diverse cose: Innanzitutto che non ci siano persone pericolanti; poi della materia che alimenta le fiamme, dei gaz che essa può sprigionare, della posizione del locale dove l’incendio è scoppiato, rispetto ai locali adiacenti; delle correnti d’aria da eliminare o evitare, in quanto capaci di attizzare il fuoco; delle travature, delle capriate, delle resistenze, della statica insomma dell’edificio, per impedire che ne crollino le parti essenziali; del contenuto del locale in fiamme; delle condutture elettriche, di gaz, di vapore da chiudere o interporre ecc. ecc…

Certo ci vorrà un minimum di tempo per rendersi conto di tali e tante cose, ma senza di ciò tutto l’indirizzo dell’opera di estinzione può essere sbagliato, e sbagliare così le manovre dei pompieri. Sbagli di questo genere possono benissimo far mancare i militi al loro scopo principale, che è questo: limitare al massimo i danni.

Far bruciare dieci tavole di più può essere bene, se con ciò si riesce, in altra parte, ad avere tempo di isolare dalle fiamme un muro maestro o altre parti essenziali dell’edificio, e a salvare degli oggetti di valore.

Ma non si vuole qui fare un trattato di tecnica pompieristici. Fatti – perché l’intenda chi deve – alcuni rilievi a proposito di ciò che accade negli incendi – non solo della città nostra, ma dappertutto – ci limiteremo ad enunciare, qui sotto, alcune avvertenze importanti, nella fiducia che esse giovino ad addomesticare gli impulsi, e a insegnare le manovre più elementari da compiersi quando ci si accorge d’un incendio.

 

 
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