All’Aquila il Carnevale più breve del mondo |
Dal 1703, dopo un terribile sisma
che distrusse la città, il Carnevale comincia sempre il 3 febbraio.
L’AQUILA – Dura solo tre giorni, quest’anno, il Carnevale all’Aquila. Un po’
perché la Pasqua è talmente bassa, per via del plenilunio, che tutto il
calendario ne risente. Canonicamente il giorno di Pasqua è fissato dal ciclo
lunare e cade nella domenica immediatamente seguente il primo plenilunio, dopo
il solstizio di primavera. Dunque, la festività pasquale ricorre quest’anno
appena dopo l’ingresso della primavera. Conseguentemente, considerato il tempo
di Quaresima, il Carnevale cade martedì 5 febbraio. Ovunque si celebri la
tradizione carnevalesca, a motivo della Pasqua bassa, nel 2008 il periodo è più
breve,. E tuttavia il Carnevale ha potuto contare quasi sulla durata d’un mese.
Dovunque, ma non all’Aquila. Perché nella città capoluogo dell’Abruzzo il
Carnevale parte sempre dopo il 2 febbraio, festa della Presentazione di Gesù al
Tempio più nota come festività della Candelora, per via del rito della consegna
delle candele benedette. Corrono ora 305 anni da quel terribile 2 febbraio 1703
all’Aquila. Era appunto il giorno della Candelora. Le chiese aquilane erano
piene di fedeli quando, in pieno giorno, la terra fortemente tremò, e più
volte, fino a sera. Solo nella trecentesca chiesa di San Domenico ottocento
persone rimasero sotto le macerie. Molti ancora persero la vita nelle altre
chiese della città che – per la stessa storia della sua fondazione con il
concorso di molti castelli – erano assai numerose, quasi un centinaio.
Migliaia le vittime in quel giorno nefasto, oltre seimila con l’immediato
circondario. Le splendide basiliche di Collemaggio, San Bernardino e la stessa
Cattedrale, come le chiese di Santa Maria Paganica, Sant’Agostino, San
Francesco e San Domenico, per citare le più grandi, furono gravemente
danneggiate dal sisma, stimato oggi quasi alla massima potenza distruttiva.
Tutto il patrimonio architettonico della città ne risentì, i tanti palazzi
medioevali e rinascimentali, proprietà delle famiglie armentarie, commerciali e
professionali furono strutturalmente compromessi. Crollati per le scosse gli
edifici popolari, staticamente meno solidi. Davvero un’immane tragedia che
ridusse la popolazione d’un terzo. Non che L’Aquila non fosse abituata ai
terremoti, avendone subiti d’ogni specie dall’epoca della sua fondazione, nel
1254. Terra sempre ballerina, sul dorso dell’Appennino. Ma i precedenti
terremoti erano stati tragici più che altro sulle cose, in particolare quelli
del 1315, 1348, 1349, 1456, 1461 e 1654. Mai tante, però, erano state le
vittime, sia per aver nel tempo gli aquilani migliorato le tecniche
costruttive, sia per essersi la comunità preparata a proteggersi, quasi
anticipando qualche attuale forma di protezione civile. Nel caso che trattiamo,
però, tutto avvenne quando la gran parte della popolazione, molto legata alla
ricorrenza liturgica della Candelora, si trovò riunita nelle chiese della
città. Furono tra le vittime del terremoto il Vicario capitolare reggente la
diocesi ed il Camerlengo della città. Un dramma del genere avrebbe schiantato
la più forte tempra civica ed annichilito il senso comunitario. Per fortuna
questo non avvenne all’Aquila.
Una relazione scritta tre mesi dopo la catastrofe, riporta: “…Si animarono gli
smarriti cittadini rendendoli coraggiosi a non disabitare la loro Patria, come
havevano principiato a fare alcune famiglie. Fu creato il Governo della Città,
in luogo degli estinti del terremuoto. Si aprirono alcune strade più principali
al commercio, buttando a terra l'avanzo delle muraglie, che minacciavano morte
a' passegieri. Si fabricarono più forni da cuocere il pane, essendo rimasti
atterrati quelli che vi erano... Furono accomodati gli acquedotti della
città...”. Walter Capezzali, studioso e presidente della Deputazione Abruzzese
di Storia Patria, in due suoi saggi sul Settecento aquilano, vi annota come la
città in quella occasione dimostrò “…una forte volontà di rinascita e
ricostruzione che in effetti doveva dare gradualmente i suoi frutti positivi
(…). E ancora “ Il drammatico momento del terremoto è ancora significativo
punto d'intersezione tra le due storie civile ed ecclesiale (…)”, rilevando il
ruolo propulsivo del vescovo Tagliatatela nel restauro del duomo ed in altre
importanti iniziative di rinascita. Si confermò così una tradizione civica di
forte spiritualità e connotata da un solido rapporto con la Chiesa e con i
tanti ordini religiosi presenti all’Aquila.
E tuttavia, quantunque fosse stata determinante la forza di reagire e la voglia
di rinascere, nel gene della comunità questa tragedia s’incise profondamente.
Errico Centofanti, ideatore e regista di grandi eventi, ma anche storico, nel
suo libro “La festa crudele” sul terremoto del 1703, tra l’altro deduce come la
stessa indole aquilana cambiò in conseguenza di quella tragedia. Se n’ebbe
d’altronde percezione persino nei simboli civici. Gli antichi colori municipali
della città, il bianco ed il rosso, dopo quel 2 febbraio 1703, divennero il
nero e verde attuali, l’uno a ricordo perenne di quel lutto civico, l’altro in
segno di speranza. Fatto sta che da allora quella tragedia e l’infausta data
sono nella memoria collettiva. Cosicché scherzi e lazzi del Carnevale,
all’Aquila, hanno un profilo privato e sobrio, mai antecedono la Candelora, ma
hanno inizio solo all’indomani della ricorrenza, il 3 febbraio d’ogni anno.
Dunque il Carnevale aquilano è anche il più corto al mondo. Nel 2008, appunto,
è di soli tre giorni. Proprio un battito. Poi le Ceneri e la Quaresima.
(Goffredo Palmerini*-Inform)