La data di nascita della Misericordia di Firenze si
legge in un codice scritto nel 1361 e tuttora conservato.
Risulta essere il 1240, ossia, in cifre romane come si
usava allora il MCCXL. Ma non è esatta: il tempo o
lacqua hanno cancellato due altre cifre, e la data
giusta è MCCXLIV, cioè 1244. Poca
differenza, comunque: sono sempre sette secoli e mezzo di
vita ininterrotta, fino a oggi. E che vita: tra decine di
pestilenze, carestie, colera, tifo, febbre spagnola,
inondazioni, bombardamenti, per parlare solo delle grandi
disgrazie collettive. Ma ci sono sette secoli e mezzo di
soccorso anche al singolo, alla famiglia, accorrendo
prima a piedi e ora con le ambulanze attrezzate, sempre
per onorare limpegno allimitazione di Cristo,
nel suo atteggiamento verso ogni sofferenza: la
misericordia.
Sempre dagli scritti del 1361 risulta che questa
confraternita «fu detta e cominciata per lo beato
Messer Santo Pietro Martire dellOrdine dei
predicatori». È questi Pietro da Verona,
detto Martire perché assassinato nel 1252 a
Barlassina, tra Milano e Como, in un agguato di catari e
ghibellini, tipico di quellepoca fitta di conflitti
politico-religiosi a mano armata. E pare che il suo
assassino si sia poi convertito, facendosi a sua volta
domenicano. La Misericordia di Firenze nasce dunque -
come moltissime altre associazioni laicali di quei secoli
- a seguito di una campagna di predicazione, in un clima
di risveglio religioso e di stimolo alliniziativa
dei laici.
Da essa prendono poi vita le Fraternite della
Misericordia di Toscana e di altre regioni, sicché
quella fiorentina, col titolo di "Arciconfraternita",
è considerata la madre di tutte le Misericordie
dItalia. E le "figlie" più antiche sono la
Misericordia di Siena (1250), seguita da quelle di
Pontremoli (1262), Rifredi (1280), Volterra (1290),
Montepulciano (1303), Pisa (1330). I secoli successivi
vedono nascere altre Misericordie simili: Camaiore-Lucca
(1450), Castelnuovo Garfagnana (1451), San Sepolcro
(1492), Pistoia (1499), Pescia (1506), Lucca (1540),
Montelupo Fiorentino (1560), Grosseto (1563), Staggia
(1563), Anghiari (1564), Portoferraio (1566),
Castiglionfiorentino (1580), Bibbiena (1584), Prato
(1588), Seravezza (1589), Lastra a Signa, Livorno e
Buonconvento (1595), Pietrasanta (1599).
Altre ancora sono state fondate tra il XVII e il XIX
secolo, e oggi hanno aggiunto alle loro tradizionali
opere caritative nuove forme di assistenza: la donazione
di sangue con i gruppi Fratres, il trattamento di
emodialisi, lemergenza medica, gli interventi per
calamità pubbliche in cooperazione con la
Protezione civile mediante la Colonna Mobile sanitaria di
primo impiego, gli ambulatori, le case di cura e di
riposo.
Ma già la Misericordia fiorentina è
stata fin dagli inizi un esempio stupendo di
diversificazione degli interventi. Primo compito dei
confratelli era certo il soccorso agli ammalati e la
sepoltura dei morti in povertà. Al tempo stesso,
tuttavia, ecco le altre loro iniziative: doti alle
fanciulle povere, liberazione di carcerati per debiti,
sussidi a malati indigenti. Una delle grandi prove
splendidamente affrontate dai Fratelli della Misericordia
fiorentina fu la peste dellanno 1325: in quel
periodo la mortalità era così alta, che per
non intimorire gli infermi non si suonavano più le
campane a morto, e non si rendeva pubblico il numero dei
decessi.
Quando scoppiavano epidemie (e ogni generazione ne
vedeva succedersi almeno due o tre) i Fratelli della
Misericordia accorrevano con le loro barelle per
raccogliere i malati e portarli in ospedali e lazzaretti;
cercavano i morti (spesso lasciati soli dalla fuga dei
familiari impauriti) per rendere loro le onoranze funebri
e seppellirli. Quando passavano per le strade, un
fratello veniva mandato avanti con un campanello, il cui
suono avvertiva i passanti di non fermarsi, per evitare
il contagio. Nella famosa pestilenza del 1630 (la stessa
descritta dal Manzoni), che a Firenze fece settemila
morti in quattro mesi, furono adottate barelle nuove,
coperte «a guisa di una gondola» di tela
cerata. Della stessa tela erano fatti i sanrocchini (da
san Rocco, curatore degli appestati), piccoli mantelli
che coprivano le spalle, e anche i mantelli più
lunghi detti ferraioli, indossati dai portatori, dai
fratelli e dai sacerdoti che andavano a seppellire i
morti. Nel Seicento, il materasso per i malati nella
barella fu sostituito da uno strato di paglia o di fieno,
che si bruciava subito dopo luso.
Peste, tifo, colera... le calamità avevano
nomi diversi, ma sempre ugualmente generosa era la
risposta dellArciconfraternita, con i suoi due
elementi fondamentali: la prontezza dellintervento
e poi la sua continuità. Nella prima guerra
mondiale, i fratelli provvidero al trasporto di soldati
feriti e malati negli ospedali, e subito dopo, nel 1919,
intervenendo con la consueta efficienza
nellepidemia di febbre detta "spagnola".
Nella seconda guerra mondiale le loro ambulanze
accorrevano sui luoghi bombardati, e durante
lultimo periodo, mentre in città si
combatteva, funzionarono senza sosta tra gli spari i
posti di Pronto soccorso della Misericordia. Anche
nellultima grande calamità che colpì
Firenze, lalluvione del 4 novembre 1966, la
Misericordia fu uno splendido strumento di
solidarietà. Nella città dove lacqua
bloccava tutto, lArciconfraternita riaprì il
suo ambulatorio nel giro di quarantottore, e a
quattro giorni dal disastro era già organizzata
per il servizio di vaccinazione antitifica e
antitetanica.
Una leggenda dei secoli scorsi attribuiva un altro
fondatore alla Misericordia di Firenze: un certo Pietro
di Luca Borsi, capo di un gruppo di "porta" o facchini,
che allora erano numerosi e attivi. Secondo quel
racconto, il Borsi, vedendo che quei facchini
bestemmiavano continuamente, propose e ottenne che ogni
offesa al nome di Dio fosse punita con una multa; e
quando fu raccolta in tal modo una somma abbastanza
consistente, sempre il Borsi fece preparare sei barelle a
forma quasi di culla (o "zana") per il trasporto di
malati e infortunati, a opera dei facchini stessi, che in
tal modo vennero a costituirsi in sodalizio di
soccorritori. E ciò sarebbe accaduto nel
1240.
È una leggenda, si è detto. Infatti,
dal registro dei Capitani e dei Capi di guardia della
Misericordia risulta veramente esistito un Pietro Borsi,
ma figlio di Gherardo, e non di Luca; inoltre - e
soprattutto- egli è vissuto nella seconda
metà del Trecento, cioè quando la
Confraternita era attiva già da oltre un secolo. A
lui probabilmente si deve lorganizzazione del
servizio di trasporto dei malati in ospedale, appunto con
le zane. La gratitudine e lammirazione dei
fiorentini per la loro Misericordia è stata
naturalmente sempre viva (e tuttora lo è),
manifestandosi anche con atti di generosità di
molti cittadini attraverso i tempi. Tra coloro che hanno
dato con particolare larghezza si ricorda Lorenzo
Gabbuggiani, che nel 1697 fu eletto Capo di guardia
dellArciconfraternita e che morì nel 1734.
Egli possedeva una bottega e un certo numero di case date
in affitto, che passarono in eredità ai suoi sei
figli. Ma nel suo testamento aveva previsto anche la
possibilità che nessuno di loro avesse a sua volta
figli, stabilendo per quellevenienza: «... e
mancata che sarà la discendenza, comando e voglio
che i Capi della Misericordia di Firenze vendano tutti
gli effetti di qualsivoglia parte che resteranno della
mia eredità e dispendino il ritratto (il ricavato)
per opere di beneficenza secondo il costume di detta
compagnia». Queste disposizioni furono pienamente
accettate dai suoi figli; di essi, uno era sacerdote e
una era suora; gli altri non ebbero discendenza, per cui
lArciconfraternita poté ereditare quei beni
e venderli. Così, nel 1780 sintrapresero
varie opere di trasformazione e di ingrandimento della
sede della Misericordia, per il pessimo stato
dellambiente e per la ristrettezza dei locali. I
lavori furono pagati in parte col provento
delleredità Gabbuggiani e in parte con un
forte sussidio del granduca di Toscana, Pietro Leopoldo
di Lorena. Lorenzo Gabbuggiani fu sepolto nella chiesa
dei gesuiti, e ancora oggi una lapide latina, sulla porta
della sala dingresso della Misericordia, ricorda la
sua donazione.
Il volontariato delle Misericordie si ispira al
Vangelo, e il modello dei confratelli resta in ogni caso
e circostanza il Buon Samaritano. Così è,
si diceva, da sette secoli e mezzo, attraverso il mutare
dei tempi e il permanere della sofferenza tra gli uomini.
Dai facchini di un tempo si è passati alle
équipe mediche, dalla zana agli impianti mobili di
soccorso, e lo spirito è sempre quello.
da: le opere di Foresto Niccolai |