GIUSEPPE
VEDOVATO
DEPUTATO AL PARLAMENTO
PROTEZIONE CIVILE E CALAMITA’
NATURALI
DISCORSO
PRONUNCIATO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI
NELLA SEDUTA DEL 17
DICEMBRE 1957
STABILIMENTO TIPOGRAFICO
CARLO COLOMBO
PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare
l'onorevole Vedovato. Ne ha facoltà.
VEDOVATO. Signor Presidente, onorevoli
colleghi, tocca a me, quale ultimo degli oratori iscritti ad intervenire nel
dibattito sul disegno di legge sottoposto al nostro esame (disegno di legge
contenente le disposizioni che il Governo ha ritenuto di proporre per la
protezione civile in caso di eventi bellici e di calamità naturali), di
allargare l'orizzonte di osservazione, soprattutto perché sono convinto che,
così facendo, sarà più facile comprendere, e conseguentemente valutare,
l'esatta portata del provvedimento in discussione.
Le critiche delle sinistre
Dopo aver ascoltato attentamente i vari
oratori che mi hanno preceduto, ho tratto l'impressione che le critiche mosse
al disegno di legge, soprattutto dai settori di sinistra, i quali sulla base di
tali critiche hanno proposto di non passare all'esame degli articoli, si
assommano intorno a tre pretese inadeguatezze: inadeguatezza di mezzi;
inadeguatezza di organizzazione (con specifico riferimento a quanto previsto
nel disegno di legge per l'utilizzazione del Corpo dei vigili del fuoco, delle
organizzazioni collaterali o ausiliarie e del volontariato); e inadeguatezza di
struttura, in quanto la legge si occuperebbe prevalentemente, per non dire
esclusivamente, del fenomeno guerra, per riservare pochissimo posto alle
calamità naturali (anzi a proposito di queste inadeguatezza strutturale, sono
state usate da parte di un collega di sinistra parole piuttosto arroventate
perché ‑ ed in ciò è un grosso errore ‑ in un articolo del disegno di legge si
fa richiamo ad un complesso di norme che sarebbero da considerare decadute dal
punto di vista giuridico).
Se vogliamo prendere serenamente in considerazione queste tre inadeguatezze che
si sono volute vedere nel disegno di legge, penso che si possa dimostrare come
i rilievi mossi siano per buona pane esagerati e per un'altra parte privi
assolutamente di fondamento, anche se ‑ sono pronto a concederlo ‑ in qualche
settore di questa Camera e per certi aspetti del provvedimento, si voglia veder
perfezionato lo strumento legislativo quasi con lo stesso stato d'animo, per
altro lodevole, di voler vedere correre chi ha già il passo celere.
Incominciamo dalla pretesa inadeguatezza
strutturale della legge.
Panorama
internazionale.
Se
diamo uno sguardo panoramico al complesso delle norme giuridiche che
afferiscono alla disciplina in oggetto si può affermare che tale legislazione,
piuttosto che essere l'espressione organica di una volontà deliberata, è
prevalentemente il risultato di una accettazione di convenzioni internazionali.
Mi fermo su questo punto perché non è stato affatto toccato, durante il
dibattito. Ed invero, sul piano squisitamente interno, la nostra legislazione è
così frammentaria da non riconoscervi una continuità di direzione. Siamo in
presenza di norme aventi vita predeterminata mente limitata, come quelle sulla
protezione industriale, che hanno avuto termine con lo scadere dello stato di
guerra. Ce ne sono state altre che hanno costituito altrettanti segmenti
legislativi e che, in certo qual modo, sono anche esse collegate con
avvenimenti di carattere eccezionale. E qui, fra i vari esempi che si affollano
alla mente, il mio pensiero va a quell'improvvisa abrogazione, che si ebbe
nell'immediato dopoguerra, delle disposizioni che disciplinavano l'obbligo
della costruzione di rifugi; abrogazione che avveniva proprio mentre nel
territorio nazionale ferveva una intensa attività di ricostruzione e tanto più
lamentevole quando si pensi che a pochi mesi di distanza, nel momento in cui
noi abrogavamo le norme che avevano avuto vigore in tempo di guerra, la
Germania promulgava una legge, tuttora esistente, in virtù della quale, quando
si procede a nuove costruzioni in zone prestabilite, si fa obbligo a tutti i
costruttori di stabili di provvedere gli stabili stessi di determinati rifugi.
Lo stesso si potrebbe dire anche per altri settori.
Sta di fatto che, oggi come oggi, dovendo
esaminare quello che si potrebbe dire, esagerando, il testo unico delle norme
che possono regolamentare la protezione civile in caso di azione bellica e di
calamità naturali, si vede che esso è più di carattere riflesso che non di
carattere diretto. Al riguardo mi sia consentito di ricordare che l’Italia ha
ratificato nell'ottobre del 1951, con legge n. 1739, le nuove convenzioni di
Ginevra, preparate subito dopo la guerra per adeguare alle nuove esigenze le
norme internazionali che avevano presieduto al primo ed al secondo conflitto
mondiale; il che è avvenuto attraverso la sottoscrizione, nel dicembre 1949, di
quattro convenzioni, particolarmente importanti ai nostri fini: la prima
relativa ai feriti e malati delle forze armate in campagna; la seconda relativa
ai feriti, malati e naufraghi delle forte armate sul mare; la terza relativa ai
prigionieri di guerra; e la quarta relativa alla protezione dei civili in tempo
di guerra.
Se ci si limitasse a ricordare soltanto
queste quattro convenzioni di Ginevra che, ratificate dall'Italia,
costituiscono patrimonio dell'ordinamento giuridico italiano, si potrebbe quasi
dare l'impressione che abbiano ragione coloro i quali affermano che, dal punto
di vista della legislazione attuale, ci si preoccupi più della calamità bellica
che non della calamità naturale. Ma ciò non risponde al vero, in quanto
l'Italia ha ratificato fin dall'agosto del 1923, un'altra convenzione
internazionale, quella relativa all'unione internazionale di soccorso, che ha
il compito specifico di prevedere tutto ciò che può avvenire in caso di
calamità naturale, e di predisporre i mezzi necessari per alleviarne le
dolorose conseguenze sia net campo interno, sia nel campo internazionale. Ed il
fatto che l'Italia abbia ratificato tale convenzione - anzi, fu proprio un
italiano: il senatore Giovanni Ciraolo, a farsi propugnatore fin dal 1921 di
una organizzazione internazionale per il soccorso immediato alle popolazioni
colpite da calamità impreviste ‑ fa sì che nell'ordinamento italiano si sia
avuto un adeguamento, operato appunto a seguito del procedimento di ratifica,
della legislazione, per cui queste norme relative alla protezione civile in
caso di eventi naturali costituiscono il pendant perfetto di quelle che
sono le norme internazionali, anch'esse introdotte nell'ordinamento interno,
relative alla protezione civile in tempo di guerra.
Ma non basta. Si consideri anche, come si
deve considerare, che l'Italia fa parte delle agenzie specializzate delle
Nazioni Unite, e che, prima ancora che il nostro paese entrasse a far parte
della grande organizzazione internazionale, la sua partecipazione
all'organizzazione mondiale della sanità, una delle predette agenzie, ha
prodotto la necessaria adozione di norme interne per la esecuzione degli
impegni internazionalmente assunti attraverso l'accettazione dello statuto
dell'agenzia di cui si tratta. Lo statuto in questione, all'articolo 28,
prevede appunto le misure necessarie da prendere per combattere le epidemie e
per partecipare alle opere di soccorso sanitario in aiuto delle vittime di una
calamità, oltre che, all'articolo 58, la costituzione di un fondo per far
fronte a tutti i casi di urgenza ed agli eventi imprevedibili.
Abbiamo, quindi, tre strumenti di carattere
internazionale particolarmente importanti: la quarta convenzione di Ginevra per
la parte relativa alla predisposizione fin dal tempo di pace della tutela delle
popolazioni civili in tempo di guerra, la convenzione istitutiva dell'unione
internazionale di soccorso e l'atto internazionale che sta a base
dell'organizzazione mondiale della sanità. E in questi tre atti, tutti
ratificati dal Governo italiano, il primo posto è dato indubbiamente
all'organizzazione del soccorso in occasione di eventi naturali, alle misure
preventive da prendere per poter dare un contenuto reale ed effettivo alla
protezione civile in contingenze belliche, ed all'aiuto internazionale
unitamente all'opera interna in caso di pubblica calamità. Pertanto coloro i
quali affermano che la preoccupazione governativa italiana è costantemente
rivolta, anche a mezzo della presentazione di questo disegno di legge, solo ad
attività che si riferiscano al fenomeno bellico, o ignorano o fingono di
ignorare l'esistenza di quelle norme che, dal punto di vista giuridico, essendo
introdotte nel nostro ordinamento interno attraverso provvedimenti di ratifica,
fanno pane integrante del vigente ordinamento italiano.
Si può aggiungere qualche ultra
considerazione. Noi assistiamo ad un fenomeno caratteristico di tutti i periodi
post‑bellici, ma che si è presentato particolarmente acuto nel secondo
dopoguerra mondiale, per il fatto che più cruenta è stata la lotta e più gravi
sono state le distruzioni: il bisogno cioè di addivenire urgentemente a qualche
cosa che disciplinasse tutto il sistema della protezione dei civili e non
soltanto in tempo di guerra e per il tempo di guerra.
La
Croce Rossa e le calamità naturali.
Voglio
riferirmi anzitutto alla Croce rossa. Qualcuno ha fatto accenno alla Croce
7rossa, ma soprattutto per motivi polemici, come vedremo tra poco. Non
dimentichiamoci, invece, che la Croce rossa, specie in questi ultimi tempi, ha
portato la sua attenzione prevalentemente sulle calamità naturali. Nell'ultima
conferenza della Lega delle società della Croce rossa, tenutasi recentemente in
India, a Nuova Delhi, è stato posto alla considerazione specifica dei convenuti
il problema dell'opera che l'istituzione deve svolgere in caso di tali
calamità, e non solo sul piano internazionale, come potrebbe dedursi
dall'ordine del giorno della conferenza, ma prevalentemente sul piano interno.
Le argomentazioni, i rilievi e le risoluzioni che in occasione dell'incontro di
Nuova Delhi sono stati formulati, sono tali da essere presi nel più attento
esame. Comunque, anche senza, dar lettura, come mi proponevo, delle risoluzioni
adottale dalla Lega, non possiamo ignorare che tali risoluzioni ripropongono
all'attenzione del mondo principi già affermati e fatti propri del consiglio
dei governatori della Croce rossa, riunitosi ad Oslo nel maggio 1954. In base
ad essi, le società nazionali della Croce rossa devono organizzarsi per essere
pronto ad intervenire in caso di disastri naturali, e per raggiungere lo scopo
devono disporre oltre che di personale idoneo ad organizzare le azioni di
soccorso, di volontari qualificati e di un minimo di materiali e di riserve.
Devono, inoltre, le società nazionali concludere accordi con le autorità
governative al fine di aumentare le facilitazioni di cui già beneficia l’azione
della Croce rossa.
Altre
iniziative: a Firenze, San Remo e Monaco Principato.
Ma
non è soltanto la Croce rossa che si è preoccupata di questi aspetti del
problema. Recentemente, innestandosi su una tradizione che già aveva permesso
all'istituzione che l'aveva promossa di rendere segnalati servigi fra le due
guerre mondiali (intendo parlare della Organizzazione internazionale di
protezione civile denominata Lieux de Genève che sì propone di
promuovere la costituzione in tutti i paesi di zone nelle quali si possa avere
una specie di rifugio, che sia rifugio anche sanitario); recentemente ‑ dicevo
‑ ed esattamente all'inizio dell'anno scorso, questa organizzazione di Ginevra
ha tenuto a Firenze un convegno per portare un ulteriore contributo alla
soluzione del problema della protezione civile, nel quale ha approfondito
l'indagine sulla necessità di una cooperazione interna e internazionale,
giungendo alla conclusione che la protezione civile sollecita la collaborazione
di tutti e dev'essere posta in primo piano nel mondo di oggi, più di quanto non
sia avvenuto in passato. Potremmo anche menzionare il congresso internazionale
tenutosi a San Remo nel 1954 e relativo al volo verticale, ossia all'impiego
degli elicotteri pubblici e privati in momenti di calamità, alla mobilitazione
di questo nuovo mezzo di comunicazione e alle norme giuridiche che dovrebbero
disciplinarne l'uso, anche al fine di modificare le convenzioni internazionali
di Chicago che regolano la navigazione di qualsiasi strumento che si serva del
mezzo atmosferico. E, più recentemente ancora (mi sia consentito di ricordarlo,
poiché ho avuto l'onore di essere chiamato a far parte, unico italiano, della
Commissione internazionale medico‑giuridica di Monaco), è stata convocata dal
principe Ranieri III una conferenza internazionale durante la quale è stata
studiata la condotta che gli Stati devono tenere in caso di pubblica calamità
e, soprattutto, le misure che nelle singole legislazioni interne devono essere
adottate perché possano effettivamente essere efficaci le azioni che,
predisposte accuratamente, vengono prese in occasione di eccezionali eventi
naturali.
Protezione
non improvvisata.
A prescindere da queste
enunciazioni e indicazioni di norme giuridiche, di risoluzioni, di proposte e
di orientamenti della pubblica opinione, io credo che si debba affermare che un
principio fondamentale sta alla base di tutto questo movimento internazionale
che, accelerato dal fenomeno bellico, non è trascurato neanche per le calamità
naturali per il fatto che esse sono purtroppo frequenti. Tale principio è che
la protezione, sia che si riferisca alle calamità naturali, sia che si
riferisca a fenomeni bellici, non può essere, improvvisata, ma dev'essere
predisposta fin dal tempo di pace.
Un altro principio non meno fondamentale,
che è affermato costantemente in tutte queste discussioni, in tutte queste
correnti di opinione, in tutti questi movimenti giuridici e legislativi interni
e internazionali, è che la protezione civile, vista sotto i due aspetti, non
dev'essere più considerata come il risultato di un'azione caritativa o di un
entusiasmo occasionale e passeggero, ma dev'essere invece condotta sul piano
del dovere e dell'obbligo dei singoli e degli Stati.
La religione aveva fatto una virtù della
carità, la morale ne aveva fatto un dovere; ora, nella fase attuale della
civiltà, bisogna trovare i mezzi concreti per tradurre la solidarietà, che è un
sentimento, nella mutualità, interna ed internazionale, che è uno scambio di
servizi.
Quanto abbiamo detto fino adesso, mentre, da
una parte, è servito a denunciare come non risponda a verità l'affermazione,
fatta in quest'aula, della inesistenza di norme e di orientamenti riguardanti
la protezione civile, si presta, dall'altra, a dare una dinamica all'articolo
7del disegno di legge che è sottoposto al nostro esame.
Questo articolo 7 a termini del quale
saranno rivedute le norme che disciplinano tutti i servizi collegati con la
protezione civile, è stato sottoposto a critica principalmente da parte
dell'onorevole Jacometti in quanto si dice che esso rappresenti l'espressione
più alta della inadeguatezza strutturale della legge. Orbene, ritengo innanzi
tutto che vada data lode a chi ha preso l'iniziativa di profilare e prospettare
un disegno di legge dedicato non alla « difesa civile », ma alla «protezione
civile », in quanto che il concetto di « difesa civile» spinge il nostro
pensiero a correre immediatamente a quella che è l'azione attiva che si
esercita e si esplica prevalentemente in tempo di guerra, laddove l'idea di «
protezione civile » mette l'accento soprattutto sul dovere che si ha da parte
dei singoli e della collettività di proteggere le popolazioni le quali
passivamente subiscono e le calamità naturali e gli eventi bellici. Nel quadro
delle misure da prevedere e prendere, l'articolo 7, secondo noi, costituisce un
motivo di lievitazione della legislazione futura, in quanto spinge ad adeguare
progressivamente la legislazione a quelle che sono le esigenze che andranno a
maturare e, soprattutto, permette di assumere quei provvedimenti che oggi,
nello stato di urgenza nel quale noi ci troviamo, non si presentavano come
suscettibili di essere adottati immediatamente.
E qui, onorevole
sottosegretario per l'interno, mi consenta che colga l'occasione delle vie che
sono aperte da questo articolo 7, per permettermi di avanzare qualche
suggerimento.
Concetto di calamità naturale o pubblica.
Preliminarmente va detto che la nostra
legislazione, considerata nel suo complesso più che con specifico riferimento
al disegno di legge in discussione, presenta un aspetto che potrebbe definirsi
lacunoso, cioè quello di non determinare che cosa si debba intendere per
calamità naturale, per pubblica calamità. È evidente che una qualsiasi misura
normativa, sia in sede di ordine interno, sia in sede di ordine internazionale
con le ripercussioni traduttive nell'interno, che abbia riferimento a questioni
di soccorso, di aiuto o di organizzazione, verrebbe fortemente menomata nei
suoi effetti concreti dalla non piena determinazione e dalla non piena
conoscenza del contenuto in cui si estrinseca e si manifesta la pubblica
calamità o la calamità naturale. Devo dare atto che non facile è stabilire che
cosa si debba intendere per calamità naturale o pubblica calamità; però tutti
coloro i quali si sono cimentati in questo campo hanno finito per concludere
che è ancora tra le più accettabili la definizione data a questa materia
dall'articolo 3 dello statuto della federazione di mutualità degli Stati per il
soccorso ai popoli colpiti da calamità, presentato nel 1923 al Consiglio della
Società delle nazioni, e che è stato il punto di partenza per la nascita della
Unione internazionale di soccorso della quale l'Italia, come dicevo poc'anzi,
fa parte. Tale articolo, nel tentativo di dare una definizione esatta e quanto
più possibile precisa dalla calamità, dice: «Le calamità di un popolo
consistono: nello sconvolgimento delle condizioni fisiche della vita collettiva
per un cataclisma della natura; nello sconvolgimento delle condizioni sociali
della vita collettiva che sopprima imprevedibilmente i fattori minimi
indispensabili dell'economia ordinaria; le conseguenze della guerra in quanto
abbiano tolto ad un popolo i mezzi e le energie di provvedere da solo alle
necessità essenziali per la conservazione immediata dalla vita collettiva:
l'esaurimento della razza gravemente o comunque colpita, per pericoli diversi,
nel minimo di salvezza dei suoi fanciulli ». (Si precorre, attraverso l'ultima
parte di questa definizione, quanto poc'anzi diceva il collega Ceravolo; a
proposito dell’effetto di distruzione che certi mezzi distruttivi di possibile
impiego esercitano sulle cellule germinali). La determinazione della nozione di
calamità naturale o pubblica, indubbiamente, sarebbe di grande ausilio. E
sarebbe di grande ausilio anche per l’Italia, non fosse altro perché tra i
paesi del mondo – e sono una trentina quelli che hanno partecipato all’Unione
internazionale di soccorso ed hanno studiato il fenomeno delle calamità – si è
arrivati alla conclusione che anche per calamità naturale esiste una specie di
ricorrenza che fa solo poco posto all’opera del caso. Dalla enunciazione
generica che attraverso il tempo ogni regione geografica subisce sempre gli
stessi flagelli, si è giunti, ad opera di uomini di scienza e di società di
studi e di ricerche, a determinare l'atlante storico‑geografico delle calamità
del mondo. Materiali sono stati raccolti sulla storia della singole calamità
verificatesi nei secoli tra i popoli delle regioni del Mediterraneo, sui
vulcanismi, sui terremoti, sulle inondazioni; e, per guanto riguarda l'Italia,
pregevoli pubblicazioni sulle più frequenti calamità, che imperversano sulla
nostra penisola sono state curate da una apposita commissione dell'Accademia
nazionale dei Lincei. Tenuto conto di quello che si verifica nelle zone del
Polesine, nelle zone terremotate, nel bacino mediterraneo in genere, in ordine
alle calamità naturali, credo che quanto più la geografia delle calamità sarà
conosciuta, tanto meno difficile sarà il poter prevenire le devastazioni degli
elementi della natura e portarvi riparo, sia dal punto di vista del soccorso
interno, sia dal punto di vista di una più vasta opera internazionale.
Ma vorrei dire di più: uno sforzo costante sostenuto da tutti i paesi,
incrementato nell’immediato dopoguerra e che prosegue tuttora, è quello che si
riferisce alla, organizzazione dell'assistenza sanitaria. Quando si parla di
protezione civile individuale e collettiva non si può prescindere
dall'assistenza sanitaria prevista in favore delle popolazioni colpite. Per le
grandi formazioni ospedaliere, per esempio, si prevede la possibilità di
addivenire a convenzioni internazionali particolari in modo da poter offrire
una garanzia contro l'offesa diretta di esplosivi atomici (per l'offesa
indiretta conseguente alla radioattività non è nemmeno il caso di parlarne)
almeno su alcune città ospedale, con osservanza scrupolosa dei capitoli
convenzionali per non dare motivo ad azioni belliche, cosa quest'ultima più
facile a promettersi che a mantenersi. Questa che sembra una semplice
affermazione teorica ha trovato, di recente, una estrinsecazione concreta.
Infatti, il Consiglio d'Europa e l'Unione europea occidentale hanno deciso di
procedere alla costituzione di una zona franca, sanitaria europea che abolirà
ogni controllo sanitario per il traffico da e per gli Stati partecipanti: si
tratta di una specie di pool sanitario europeo.
Cooperazione tra ali Stati.
Attraverso le maglie dell'articolo 7 della
legge e le prospettive da esso rappresentate, non è da ignorare la possibilità
di coordinare l'attività che si prevede di svolgere con quella degli altri
Stati, al fine di ottenere che nel campo sanitario si possano effettivamente
raggiungere obiettivi concreti. E non solo obiettivi di carattere generale ma
anche particolari, in relazione, oltre che al settore squisitamente
medico-sanitario, a quello farmaceutico, ai rifornimenti, ai servizi essenziali
di pubblica utilità, ai trasporti e, infine, anche ai centri operativi. Valga
qualche constatazione. Per quanto attiene all'attrezzatura ospedaliera, si sta
procedendo, un po' dappertutto, alla creazione di ospedali mobili; gli Stati
Uniti d'America hanno già accantonato una riserva di 1500 ospedali mobili con
una capacità dì 200 letti ciascuno; il Canada sta copiando il modello
americano, migliorandolo e perfezionandolo. Vi è anche la questione del
personale medico e chirurgico: è della massima importanza schedare tutto questo
personale, oltre quello subalterno, assegnando ad ognuno una destinazione
precisa. L'assistenza sanitaria riguarda anche le scorta di medicinali,
strumenti ed altre attrezzature sanitarie: è raccomandabile compilare una lista
base che si deve considerare come il minimo necessario. Rendere edotta tutta la
popolazione della precauzioni sanitarie da prendere nei vari casi di calamità o
di offesa con mezzi sconosciuti alla massa non è possibile, tuttavia occorre
prodigarsi in questo senso con ogni mezzo, primo tra tutti attraverso la
scuola, la stampa, la radio. La popolazione, opportunamente istruita ed
addestrata, deve prendere parte alla sua stessa protezione.
I monumenti e le opere d'arte e di cultura.
Mi sia ancora consentito (dal momento che
della cosa è fatto cenno nei disegno di legge) di aggiungere che il Governo si
renderà benemerito se, sempre avvalendosi dell'articolo 7 o in connessione con
esso, procurerà di predisporre quanto è necessario per dare rapida e concreta
esecuzione a quella, convenzione internazionale che, promossa dall’Italia, è
già stata ratificata da una decina di paesi ma non ancora da noi, e che
riguarda la tutela dei monumenti e delle opere d'arte e di cultura in tempo di
guerra.
Con queste argomentazioni, ci sembra possa
essere rigettata la prima critica relativa alla inadeguatezza, strutturale
della legge, critica la cui fondatezza dovrebbe, a dire degli oppositori,
suggerire il rinvio di questa discussione o, addirittura, come già ricordato,
il non passaggio all'esame degli articoli.
I vigili del
fuoco e la protezione civile.
La seconda inadeguatezza della legge,
sarebbe rappresentata, sempre secondo gli oppositori, dalla insufficienza,
della organizzazione. Per qualcuno, come l'onorevole Ortona, ha costituito
motivo di sorpresa il fatto che la protezione civile sia affidata al Corpo
nazionale dei vigili del fuoco o, per meglio dire, si faccia della
organizzazione dei vigili del fuoco il nucleo centrale di quella che sarà la
organizzazione della protezione civile.
Mi meraviglio di questa sua meraviglia. I
motivi che, a mio giudizio, stanno alla base della scelta, molto opportuna, del
corpo dei vigili del fuoco per l'esecuzione dei compiti previsti dalle leggi
sono duplici. In primo luogo, i vigili del fuoco hanno una organizzazione a
struttura nazionale, collaudata dal tempo e che ha acquisito non poche
benemerenze; in secondo luogo, l'organizzazione dei vigili del fuoco, come la
Croce Rossa, non è considerata un organismo bellico nemmeno in tempo di
conflitto; e l'esperienze dell'ultima guerra, durante la quale non sempre si
sono pienamente rispettate le norme internazionali, insegna che in tutte le
zone operative e di occupazione militare l'organizzazione dei vigili del fuoco
è stata sempre considerata come una forza non combattente. L'unica eccezione
riguarda il territorio del Belgio, ed è in parte giustificata dal fatto che in
quel paese il corpo dei vigili del fuoco adotta una divisa confondibile con
quella delle forze armate. In quanto dunque questa organizzazione abbia la
duplice caratteristica di essere capillarizzata su base nazionale e, in vista
di scontri armati, di essere fornita di una specie di immunità, i motivi della
scelta sono ben validi perché alla organizzazione dei vigili del fuoco venga
affidato preminentemente il compito di costituire il nucleo centrale della
protezione civile.
E, poiché parliamo del corpo nazionale dei
vigili del fuoco mi sia consentito, onorevole sottosegretario, di prospettare
quelli che potrebbero essere gli eventuali pericoli collegati con una non
attenta visione dei nuovi compiti ai quali l'organizzazione viene chiamata. Si
presenta, cioè, il pericolo, specie nella prima attuazione della legge, di un
assorbimento o di uno schiacciamento che il corpo potrebbe correre per effetto
della preponderanza burocratica che i nuovi uffici della protezione civile
assumeranno in confronto a quelli dei vigili del fuoco; ed a pensare ciò sono
indotto dai fatto che nel disegno di legge non si fa il minimo accenno alla
continuità dei servizi di lotta contro gli incendi, che costituiscono lo scopo
principale della organizzazione dei vigili del fuoco. II pericolo genericamente
indicato potrebbe forse consigliare (adopero la formula dubitativa, perché mi
rendo conto della complessità dell'argomento) di giungere a una distinzione fra
i compiti antincendio e quelli che l'organizzazione deve svolgere per la
protezione civile. Un altro interrogativo si presenta alla mia mente: quando il
disegno di legge in discussione parla di fondi messi a disposizione della nuova
direzione (che assume altro nome: direzione generale per la protezione civile,
ed assorbe la direzione generale dei servizi antincendi), non specifica se le
nuove somme indicate comprendano o ‑ come ritengo ‑ non comprendano le voci del
bilancio ordinario relative appunto all'attività del servizio antincendi.
Se si porrà mente,
come sono convinto si porrà mente, a questi possibili inconvenienti che si
profilano all'orizzonte e si risponderà positivamente all'interrogativo ora
posto, credo che si possa stare tranquilli circa la funzione e l'azione
effettiva che la nuova direzione generale potrà svolgere; soprattutto se ‑ come
è vivamente augurabile potranno essere rapidamente approvati i provvedimenti
legislativi già presentati o relativi sia all'assetto del corpo dei vigili del
fuoco, sia all'aumento del numero dei suoi componenti.
E non dispiaccia alla Camera ed al Governo
se colgo questa occasione per rivolgere, non dico un ringraziamento, ma un
sicuro auspicio alla nuova organizzazione e ai nuovi compiti che vanno ad
assumere i vigili del fuoco. Questo auspicio mi è gradito esprimerlo attraverso
le parole di un generale dell'esercito (e, quando si conoscono i rapporti che
intercorrono tra le forze armate e i servizi ausiliari e non ausiliari, questo
riconoscimento acquista maggiore valore). Il generale Petitti, in un articolo
dedicato appunto alla difesa civile e pubblicato nell'ottobre del 1955, diceva
testualmente: « Il servizio antincendi, nella nuova dottrina, adottata ed
attuata da tutte le nazioni del mondo, è destinato a costituire, per la difesa
civile, la robusta ossatura centrale del reclutamento, la parte permanente
dell'ordinamento, la vibrante fucina dell'addestramento, l'irrequieta, centrale
della divulgazione di norme di comportamento per prevenire il pericolo per
ridurlo, per curarne gli effetti. Il compito che attende, in questa nuova grave
prova di abnegazione e di sacrificio, i nostri vigili del fuoco è enorme e
senza precedenti ed è la condizione perché i vigili, adattandosi senza subire
scosse, assorbendo il nuovo senza farsi assorbire» (ecco l'esigenza che poco fa
prospettavo) « superando diffidenze e pregiudizi senza farsi superare, possano
mantenersi all'altezza della stima, della riconoscenza e dell'affetto di cui la
nazione generosamente li circonda ».
La Croce Rossa,
l'Ordine di Malta, le Misericordie e la P. O. A.
Sempre in tema di inadeguatezza di
organizzazione, da parte delle sinistre, ed in modo particolare da parte
dell'onorevole Jacometti, è stata espressa una nota polemica nei confronti
delle organizzazioni ausiliarie o collaterali che dovrebbero concorrere
all'assolvimento del compito di tutelare le popolazioni civili in tempo di pace
in occasione di calamità naturali, ed in tempo di guerra contro le offese
d'ogni genere. Or bene, le punte maliziose e le insinuazioni formulate a questo
riguardo debbono essere senz'altro respinte. Perché, praticamente quali sono
queste organizzazioni ausiliarie o collaterali alle quali si fa riferimento
nel disegno di legge ? L'indicazione, è evidente, non è tassativa né
indicativa, in quanto la cooperazione deve essere totale, da parte di tutti
coloro i quali concorrono al conseguimento degli scopi che attraverso la legge
si vogliono raggiungere.
In prima linea (dopo, si intende, gli organi
di governo, trattandosi del Ministero dell'interno, del Ministero della difesa,
del Ministero dei lavori pubblici attraverso gli uffici del genio civile), è la
Croce rossa; quindi, in seconda linea, il Sovrano militare ordine di Malta, le
Misericordie dove esse esistono, nonché tutte le altre organizzazioni, fra le
quali preminente la Pontificia commissione di assistenza.
La Croce rossa, attraverso la sua
strutturazione nazionale, assolve in modo egregio a questo compito, sia per la
sua funzione di istituto, sia anche perché inserita in una organizzazione di
carattere internazionale che acquisisce sempre maggiori benemerenze. Ho sotto
gli occhi documenti vari che si riferiscono all'attività specifica che la Croce
rossa svolge in tempo di pace e in tempo di calamità. Non è il caso che mi
soffermi su di essi: basti ricordare che in due anni il segretariato della lega
delle società nazionali della Croce rossa, ha lanciato 25 appelli su richiesta
di 18 società nazionali ed ha coordinato azioni di soccorso per un ammontare
complessivo di circa 20 milioni di franchi. Non si può tacere, però, che non
sono da meno della Croce rossa le altre organizzazioni ricordate: e fra queste
mi è gradito spendere ancora una parola di plauso per le Misericordie,
particolarmente sviluppate in Toscana e non solo in essa, le quali tutte in
Italia contribuiscono notevolmente all'opera di soccorso cui si riferisce la
legge.
In linea generale, si può affermare che un
merito delle legislazioni nazionali in materia di protezione civile è proprio
quello di addossare il massimo dei compiti alle organizzazioni ausiliari è,
perché in tempo di emergenza, di crisi, di calamità, agli organi governativi
competono funzioni di coordinazione, di dirigenza piuttosto che di esecuzione
totale delle operazioni da effettuare
Anche recentemente a Firenze, in occasione
della conferenza internazionale dei Lieux de Genève di cui ho parlato,
si è accennato a queste funzioni delle organizzazioni ausiliarie e ad esse è
stato dato un particolare posto d'onore: “ organismi, è detto in una specifica
risoluzione approvata, che servono quali tratti d'unione tra le autorità
responsabili e le popolazioni e tra queste e le prime”.
Ricorso al
volontariato.
Altro motivo di
polemica (e purtroppo la polemica non manca quando si discute di provvedimenti
della portata, anche politica, di quello in esame) è stato il fatto che nel
disegno di legge si parla di volontariato, si parla cioè di ricorso ad attività
volontarie per poter meglio realizzare gli scopi prefissi. A proposito del
volontariato si potrebbe dire molto; ma io me ne asterrò, limitandomi a
rilevare che esso deve costituire un motivo di compiacimento, in quanto poche
attività come il volontariato educano ad aiutarsi da sé e a fare il minimo
ricorso possibile alle forze regolari, da utilizzare per altri impieghi e per
altri scopi,
Del resto, potrebbe essere particolarmente
istruttivo conoscere quanto in questa materia si fa altrove, dove il
volontariato non si è riusciti a promuoverlo e ad organizzarlo.
Ho letto una magnifica memoria di Sir John
Hodsoll, un altissimo funzionario britannico ora distaccato alla N. A. T. O.,
il quale si è dedicato agli studi sulla protezione civile. In occasione di un
suo soggiorno romano, egli tenne una conferenza presso l'Istituto di studi
parlamentari, in cui citò casi estremamente
interessanti per quanto riguarda la coscrizione obbligatoria per la protezione
civile. Per esempio, in Norvegia tutti gli uomini compresi fra i 45 e 55 anni
di età sono obbligati a servire nella protezione civile: i più giovani nelle
colonne mobili, considerate come una riserva essenziale agli effetti della
protezione civile, i più anziani negli altri servizi della protezione civile.
Lo stesso si verifica in Danimarca, nei Paesi Bassi, in Gran Bretagna, sia pure
attraverso forme diverse.
I mezzi
finanziari.
La terza critica che è stata rivolta al
disegno di legge in discussione riguarda la inadeguatezza dei mezzi: anzi, sono
stati avanzati calcoli molto precisi sulle somme ritenute necessarie per una
adeguata organizzazione di protezione civile: calcoli basati su salari,
stipendi ed altre spese. Così facendo, però, si dimentica un punto essenziale,
che è il seguente. L'Italia aveva ed ha urgente bisogno di varare un
provvedimento in materia di protezione civile; per potersi adeguare agli altri
paesi a fianco dei quali volontariamente cammina. Nell'assolvimento di questo
suo dovere, dettato anche da necessità ogni giorno più impellenti, l'Italia ha
iniziato ad operare. E l'inizio è promettente: alcuni miliardi sono stati
reperiti e ripartiti in più esercizi, e ad essi mi auguro si aggiungano quelli
per l'attività antincendi. Ma il compito specifico di questa legge va oltre la
predisposizione dei mezzi: essa ha lo scopo, non dico di rimuovere gli
ostacoli, ma di creare un'atmosfera favorevole, in quanto il costo elevato
della protezione civile e il disturbo che essa indubbiamente arreca alla vita
del tempo di pace rendono tuttora
molto riluttanti l’opinione pubblica e le pubbliche amministrazioni ad
applicare misure che soltanto la constatazione diretta delle perdite umane e
dei danni materiali rendono accettabili. Ben vengano, quindi, quei
provvedimenti di urgenza come quelli che noi stiamo in questo momento
discutendo. Si tratta di provvedimenti che, tra l’altro, sono sollecitati dalla
necessità della sopravvivenza, e quando parliamo di sopravvivenza non si pensa
più al vecchio concetto della sopravvivenza individuale, ma al concetto
moderno, modernissimo della sopravvivenza collettiva, la quale è veramente
messa in dubbio dagli effetti distruttivi delle nuove armi nella breve ma
terribile prima fase di un eventuale conflitto, nel corso della quale si
consumeranno gli stocks di tali armi.
Calamità naturali
ed eventi bellici.
Ma non bisogna
pensare solo a questi ultimi aspetti dell’era nucleare. La legge, lo abbiamo
detto, guarda su due fronti: guarda sul fronte delle calamità naturali e guarda
sul fronte degli eventi bellici. Per quanto riguarda le calamità naturali,
abbiamo già fatto constatare come oggi sia quasi possibile muoversi su quella
che è la geografia delle calamità naturali, geografia che è dolorosamente ricca
di ripetizioni nel bacino mediterraneo. Per quanto attiene all’altro pericolo
sul quale si sono anche accentrati molti interventi, costituito
dall’eventualità di un conflitto, io non escludo che anche in tempo di guerra
la protezione civile possa servire per attività più limitate, considerato che,
nella nuova atmosfera internazionale, si prevedono probabili guerre localizzate
e con impiego di armi convenzionali e tradizionali, di fronte alle quali la
protezione civile può continuare a rendere senza dubbio dei segnalati servigi.
Conclusioni e
suggerimenti.
Dopo tutto quanto abbiamo detto si può
concludere con l’argomento della inadeguatezza dei mezzi non sembra un motivo
sufficiente per chiedere, cadendo in una evidente contraddizione, il rinvio ad
un nuovo esame della legge, con conseguente perdita di tempo. Riteniamo,
invece, che, a chiusura di questa ampia discussione, si possa procedere
rapidamente all’approvazione di questa legge, il suo essendo, per adesso, di
promuovere ogni possibile collaborazione e di studiare ed organizzare tutti i
possibili mezzi per iniziare e rendere sempre più efficace la preparazione
della protezione civile. E per portare un contributo alla dinamica di questa
legge, dinamica alla quale ci invita in modo particolare l’articolare
l’articolo 7, penso che sarebbe molto opportuno che si istituissero degli
organi di collegamento fra il Ministero dell’interno ed il Ministero della
difesa, al fine di condurre una pianificazione congiunta e di realizzare una
cooperazione fattiva, coscienziosa; che sia previsto l’impiego di ufficiali in
servizio permanente effettivo, in trattamento di quiescenza, per
l’organizzazione e l’impiego di colonne mobili e di appoggio mobile (si tratta,
cioè, di impiegare personale ancora giovane e ricco di esperienza di comando, e
quanto questa esperienza di comando sia necessaria in tempo di emergenza è
superfluo sottolineare); che sia, altresì, istituito un corpo nazionale della
protezione civile del quale il corpo nazionale dei vigili del fuoco dovrebbe
essere una specialità determinante: e che, infine, siano stanziati fondi ad
hoc per la costruzione di ricoveri pubblici e per le esigenze della
evacuazione delle popolazioni. Sono tutti suggerimenti e provvedimenti che
evidentemente non vogliono rappresentare nulla che possa infirmare lo spirito
dell’attuale disegno di legge, al quale do la mia piena adesione, con l’augurio
che trovi anche il consenso generale. Ritengo che non sia una fortuita
circostanza (almeno così l’interpreto io) il fatto che questa nostra legge si
avvii al voto nel momento in cui si svolge la conferenza di Parigi. Quale
osservatore della realtà internazionale, sono profondamente convinto la
N.A.T.O. è il nostro scudo, come si dice con una frase ormai acquisita al
linguaggio corrente. Però questo scudo è composto di due metà: la prima è la
protezione militare, la seconda è la protezione civile. Il problema della
protezione civile è validissimo anche nell’era atomica. Bisogna affrontarlo, e
va data lode a chi l’ha affrontato. Questo scudo per la parte relativa alla
protezione militare è organizzato e funzionante; occorre che anche l’altra
metà, relativa alla protezione civile, sia organizzata e funzionante, in quanto
sono due metà che non solo si integrano a vicenda, ma l’una è condizione
dell’efficacia dell’altra. Il chiudere gli occhi di fronte a questa realtà non
è indice di saggezza, non è stato mai indice di saggezza né individuale né
nazionale. Credo che il Parlamento, nel varare questa legge, darà prova di
saggezza verso la nazione. (Applausi – Congratulazioni).