Particolarmente sensibile ed efficace fu il contributo dei confratelli del
Pellegrino durante l'epidemia di peste del 1629 -1632. Nel novembre 1629,
appena si ebbero in Toscana le prime avvisaglie del contagio, le autorità
adottarono immediatamente misure preventive. fu vietato “l'entrare a'
confìni a tutti gli ebrei, vagabondi, birboni e zingari ”; le strade di
accesso alle città erano sorvegliate da “ guardie di soldati, mettendosi
ogni mezzo miglio una trabacca, con cinque o sei di loro, uno dei quali
faceva di continuo la sentinella e se veniva gente sparava un archibuso,
al quale cenno accorrevano gli altri dei vicini posti, eranvi cavalli che
giorno e notte scorrevano acciò niuno passasse”.
La peste fece la sua prima apparizione nel pratese alla Villa di Tavola:
il commissario di sanità vi spedì il cerusico Antonio Gramigní. Presto il
contagio si manifestò anche entro le mura cittadine: le prime famiglie ad
essere colpite furono quelle di Piero Zerini e di Niccolò Bardazzi; le
loro case furono chiuse “ con precetto agli abitanti, sotto pena della
vita e confiscazione dei beni, di non uscire, né ammettere alcuno... ” .
In poco più di un anno, le case che vennero “ sprangate ” furono oltre un
centinaio. In Prato, i morti furono 1236 e la punta massima fu toccata
nell'ottobre del 1630, con ben 368 casi letali e va notato che “benché la
peste cominciasse nel mese di agosto del 1630... non fu presa nota dei
morti che nel mese di ottobre... ”.
L'8 ottobre 1630 il popolo pratese, come già aveva fatto durante l'epidemia
del 1527, si riunì intorno all'immagine della Madonna delle Carceri ed
anche il Sacro Cingolo fu portato in processione” scriveva un cronista
dell'epoca che “... a spegnere il contagio, fa di bisogno ricorrere alla
Maestà di Dio, alla intercessione della Beatissima Vergine e de'Santi; di
poi osservare con diligenza quanto appiè: Inzolfare e profumar le case o
stanze ove sono stati morti o malati; Separare subito scoperto il male
gl'infermi da' sani; Bruciar subito elevar via le robe c'hanno servito per
uso al morto o malato... e proibire i commerci”. Funzioni propiziatorie
furono fatte anche in onore di S. Antonino, come già si faceva a Firenze.
Si proibì alla gente di uscir di casa e di ritirare danari dai Luoghi Pii.
Nell'ottobre fu aperto un lazzaretto nella chiesa e nell'ospedale di S.
Silvestro, mentre i meno gravi e in via di guarigione venivano raccolti
alla “convalescenza” stabilita nel Casone e nelle altre case
dell'ospedale. Sennonché “ essendosi per l'esperienza conosciuto quanto
fosse dannoso alla Terra il mantenere il lazzaretto in Prato... ”, fu
trasferito a S. Anna, in quell'edificio che già era stato convento degli
Agostiniani della Congregazione di Lecceto. Vicino al lazzaretto di S.
Anna c'era (e c'è ancora) il convento dei Cappuccini i quali ben
volentieri si posero al servizio degli appestati dei lazzaretto.
Il Comune di Prato pagava quattro becchini per il trasporto degli
appestati. Dopo la morte dei primi tre, il quarto lasciò l'incarico. Fu
allora che i morti vennero lasciati a fior di terra e spesso i cani furono
visti nutrirsi di cadaveri.
Il cronista ricordato ci conserva, in proposito, questa memoria: “Mancando
agli ammalati e convalescenti molte cose necessarie si mosse la venerabil
Compagnia del Pellegrino per esercitar la carità e domandar a' deputati
della Sanità di Prato il governo del lazzeretto e comunità acciò i malati
e i convalescenti riavessero vitto fuoco e medicamenti a bastanza. Gli fu
concesso e ne pigliorono il governo a dì 17 di giugno 1631... ” .
1 fratelli del Pellegrino furon visti tante volte passare per le strade di
Prato, preceduti dal Capoguardia, il quale con una mazza, allontanava
quanti si avvicinavano al loro fardello di morte. Compiuta la carità, la “
brigata ” dava lo strame dei cataletto alle fiamme. A sera si vedevano
ancora nel loro incessante, mesto peregrinare, mentre con le torce a vento
rischiaravano quell'aria ancora più triste per il calar della notte. Per
questo servizio reso alla comunità, il Comune assegnò alla Compagnia un
contributo mensile di 22 lire toscane.
Molti dei morti a causa del contagio trovarono riposo nel piccolo Oratorio
di Santa Maria Assunta, l'Oratorio della Compagnia. E i morti furono
molti: la piccola chiesa non era più sufficiente a contenerne, e fu così
che la Compagnia venne nella determinazione di costruire un cimitero.
Il Governatore rivolse domanda al Granduca Ferdinando Il perché concedesse
un pezzo di terra da destinarsi a camposanto. La richiesta veniva accolta
e il 22 giugno 1631 venne assegnata al Pellegrino una striscia di terreno
fuori della Porta Fiorentina accanto alle mura della città ed al bastione
detto “ il bastione rovinato ”. Tanta era la necessità di dare inizio alle
sepolture, che non si provvide nemmeno a recintarlo, cosa che sarà fatta
solo nel 1746. Fu subito eretta, invece, una cappella intitolata a S.
Rocco'. Si dispose che in essa vi fossero celebrate due messe alla
settimana e, quando la moria cessò, un solenne anniversario.
In quel cimitero trovarono riposo oltre 600 morti, fra i quali alcuni di
quei poveri frati che, per tutto il periodo dei contagio, avevano espresso
con generosità e dedizione il loro slancio caritativo.
A testimonianza della loro opera, la Compagnia del Pellegrino aveva
iscritto i buoni Cappuccini nei ruoli della fratellanza attiva del
Sodalizio.
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