Da una chiamata improvvisa è iniziato un viaggio di dolore,
di
gratitudine e di sofferenza. Alle 15 di giovedì 31 ottobre ho saputo che
sarei dovuto partire per le zone terremotate del Molise. Non sapevo di
preciso dove sarei andato ne' quando sarei tornato, ne' tanto meno cosa avrei
trovato ne' cosa avrebbero visto i miei occhi. Era la mia prima esperienza -
terremoto. Sapevo soltanto che dovevo partire per andare a soccorrere chi
avevano bisogno di aiuto. La grande emozione, la voglia di partire, la
curiosità di un'esperienza nuova avevano in un primo momento oscurato in me
la paura. Proprio così. Forse in molti ritengono che, "gli angeli
anti-terremoto", così come vengono chiamati in questi casi i volontari dai
giornalisti, siano degli invincibili, gente tosta che può dove altri non
arrivano. Forse lo credevo anch'io; ma quando siamo partiti e la strada sotto
le ruote della jeep iniziava a scorrere, nella mia mente è stato un
succedersi di dubbi e paure. Sarò davvero in grado mi dicevo di dare una
mano? Avrò la forza per confortare e aiutare chi ha bisogno o sarò tanto
fragile da non riuscire a sopportare il dolore, la fatica, lo sforzo? Cercavo
di fugare questi dubbi guardando i mie i quattro compagni e, scrutando ogni
loro atteggiamento, cercavo di capire se anche loro avevano le mie stesse
paure. Erano abbastanza tranquilli, o almeno mi sembravano tali, ma non
sapevo se fingevano perchè anch'io cercavo di camuffare le mie titubanze. La
mia unica certezza era di avere vicino ragazzi di cui mi fidavo, che
conoscevo bene e che non avevo mai visto in difficoltà. Allora ho pensato:
devo dare tutto me stesso!! Anche con la speranza che se non ce l'avessi
fatta con i miei mezzi, ci sarebbero stati loro ad aiutarmi. Arrivati a San
Giuliano di Puglia, il paese più colpito dal sisma, dopo una notte di
viaggio, stanchi ed assonnati, ci siamo messi subito al lavoro. Abbiamo
iniziato ad attrezzare il campo adibito agli sfollati, montando le prime
tende e raccogliendo i viveri disponibili. Abbiamo iniziato a vedere le prime
persone, per lo più anziani e bambini, scosse ed attente, incredule ed
impaurite per quello che era accaduto. Ma molto più dolore e desolazione
doveva esserci in paese, non avevamo notizie certa ma sapevamo che
molti bambini erano intrappolati sotto le macerie di una scuola. Nessuno di
noi, immaginava una tragedia così incommensurabile. Le prime tende
cominciavano a riempire il piccolo campo sportivo. Dopo aver lavorato
alacremente portando a compimento il lavoro assegnatoci, verso le quattro e
mezzo del pomeriggio è arrivata una scossa di terremoto molto forte. Siamo
partiti insieme alle altre Misericordie (uniti da un encomiabile spirito
fraterno) verso il centro del paese per prestare eventuali soccorsi. E'
difficile descrivere la scena che ci siamo trovati di fronte, così come è
difficile dar parola ai sentimenti provati in quegli istanti. Un fiume di
persone correva scomposto da una parte all'altra del paese con gli occhi
pieni di lacrime e le loro urla assomigliavano alle sirene dei nostri mezzi
che avevamo fatto tacere per non aumentare la paura tra la gente.
Disperazione, Aiuto. Prostrazione. Pietà. Sconforto. Leggevo queste parole
negli occhi delle persone, ero confuso, lo ammetto, ma era troppo grande la
voglia di fare qualcosa che con i miei compagni ho cercato di tranquillizzare
le persone e riportare un po' di calma. E' stata una scena tragica ma con
l'esperienza, e la preparazione abbiamo saputo affrontare con relativa calma
e fermezza la situazione. Sono convinto che quelle scene, quegli occhi pieni
di paura e dolore ci resteranno impressi nella memoria come tutte le altre
situazioni vissute. Pensavo che questo fosse stato il culmine della tragedia,
invece un'altra esperienza scioccante l'abbiamo vissuta la sera, quando siamo
stati mandati a far luce alle persone che vegliavano i propri bambini morti
nella palestra trasformata in obitorio. La vera tragedia, purtroppo, era
proprio lì. Ventisei bare bianche, ventisei piccole vite spezzate, ventisei
famiglie immerse nel dolore. Come mi sentivo? mi sentivo impotente di fronte
a una tale sciagura, mi sentivo frastornato e solo. Ho visto per la prima
volta, i miei amici, sempre pronti allo scherzo desolati, increduli,
sconvolti. Ho iniziato a girare fra le bare, vestiti, giochi, le foto dei
bambini, facevano piangere il cuore. Mi sono reso conto che noi non eravamo
gli angeli anti-terremoto, ma che gli unici angeli erano quei piccoli nelle
bare. Eravamo impotenti e l'unica cosa che potevamo fare era pregare per
loro. La domenica mattina partecipammo insieme a tutto il paese ai funerali e
questo ci ha avvicinato ancora di più a quel popolo, il loro dolore era il
nostro dolore, la loro disperazione era la nostra, eravamo tutti fratelli.
Adesso che sono a casa tutte le volte che rivedo le immagini di quei momenti
un brivido mi passa su tutto il corpo. E stata un'esperienza che mi ha dato
tanto sotto il profilo morale, e mi ha rafforzato e mi ha fatto capire che i
volontari non sono angeli ma persone più fortunate in soccorso di altre che
chiedono aiuto.
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Andrea
N.
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